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Troppo Facebook compromette la fiducia del datore

15 Marzo 2019 da Studio Solaro

L’uso per un tempo significativo degli accessi ai social network durante l’orario di lavoro, potrebbe compromettere la fiducia del datore di lavoro fino a portare al licenziamento. La Corte di Cassazione, con la sentenza n.3133 del febbraio 2019, ha confermato la decisione della Corte d’Appello sulla legittimità del licenziamento impugnato dalla lavoratrice, impiegata amministrativa part time di uno studio medico, per aver effettuato, durante l’orario lavorativo sul pc dello studio, 6.000 accessi ai social (per durate a volte significative) in 18 mesi, di cui 4.500 circa a Facebook. Le difese della lavoratrice vertevano sulla violazione delle regole sulla tutela della privacy e sulla natura ritorsiva del licenziamento, in quanto effettuato dopo la sua richiesta dei permessi ai sensi della legge n.104/92. La Corte ha ritenuto che il datore di lavoro non avesse violato la riservatezza in quanto si era limitato a valorizzare il tempo utilizzato sui social, verificando la cronologia del proprio computer, senza addentrarsi sui contenuti delle visualizzazioni. Per il secondo motivo difensivo, già la Corte d’Appello aveva affermato che la condotta tenuta dalla ricorrente, per come emersa sulla base degli elementi acquisiti, integrasse la violazione degli obblighi di diligenza e di buona fede nell’espletamento della prestazione parte della lavoratrice. Veniva di fatto escluso che la decisione del datore di lavoro di chiudere il rapporto lavorativo fosse stata determinata, per contro, dalla presentazione della domanda ai sensi della legge n. 104/92 (permessi per cura a disabili), quale motivo esclusivo del recesso datoriale. La dipendente, inoltre, non ha mai contestato i documenti contenenti la cronologia internet, dai quali poi è stata desunta la frequentazione della rete da parte sua, in orario di lavoro e per ragioni esclusivamente personali estranee alla prestazione lavorativa. Il tipo di accesso a Facebook, infatti, necessitava di password e, quindi, non potevano esserci dubbi sul fatto che fosse la titolare dell’account ad averlo eseguito.

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