Sospensione riscossione: non idoneità del decreto di omologa/esecutività del concordato fallimentare


Forniti chiarimenti in merito ai corretti strumenti amministrativi a disposizione del contribuente tornato in bonis a seguito dell’omologazione e dell’esecuzione di una procedura di concordato fallimentare, al fine di stimolare l’Agenzia delle entrate, quale ente creditore, e l’Agenzia delle entrate – Riscossione, quale Agente della riscossione, ad adeguarsi alle pronunce giudiziali emesse in sede fallimentare, con specifico riferimento agli effetti di cui all’art. 135 L.F (Agenzia delle entrate – Risposta 10 novembre 2022, n. 6).

Il decreto di omologa/esecutività del concordato fallimentare non annulla, né sospende, il titolo che fonda il credito erariale (o la relativa cartella), ma eventualmente ne riduce solo l’esigibilità; pertanto, deve negarsi che lo stesso possa rientrare tra le cause di sospensione della riscossione ex articolo 1, commi 537 e ss. della legge n. 228 del 2012 e sia quindi idoneo ad attivare la relativa procedura.
Ciò non significa, tuttavia, che tale decreto sia ininfluente per gli Uffici dell’Agenzia delle entrate o per l’ente della riscossione, i quali sono ovviamente tenuti al rispetto delle norme e dei provvedimenti dell’Autorità giudiziaria. Agli Uffici e all’ente della riscossione si impone dunque di agire in conformità all’articolo 135 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (“legge fallimentare” o “L.F.”), secondo cui il concordato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla apertura del fallimento, compresi quelli che non hanno presentato domanda di ammissione al passivo. A questi però non si estendono le garanzie date nel concordato da terzi. I creditori conservano la loro azione per l’intero credito contro i coobbligati, i fideiussori del fallito e gli obbligati in via di regresso. Ove ciò non avvenga per un qualsiasi motivo, i contribuenti, ferma la tutela giurisdizionale dei propri diritti, potranno comunque rivolgersi all’Amministrazione finanziaria ex articolo 2- quater (“Autotutela”) del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564 – convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656 – per l’annullamento o la revoca degli atti posti in essere in contrasto con la richiamata disposizione della legge fallimentare.


Esonero contributivo post maternità per lavoratrici madri: chiarimenti

L’Inps fornisce chiarimenti sulle modalità di riconoscimento dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico delle lavoratrici madri dipendenti del settore privato, a decorrere dalla data del rientro nel posto di lavoro dopo la fruizione del congedo di maternità (Messaggio 09 novembre 2022, n. 4042).

In via sperimentale per l’anno 2022, è riconosciuto l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali, nella misura del 50 per cento, a carico delle lavoratrici madri dipendenti del settore privato, a decorrere dalla data del rientro nel posto di lavoro dopo la fruizione del congedo obbligatorio di maternità e per un periodo massimo di un anno a decorrere dalla data del predetto rientro.
In proposito l’Inps ha chiarito, tra l’altro, che l’agevolazione spetta anche qualora il rientro effettivo sul posto di lavoro della lavoratrice avvenga dopo la fruizione del periodo di astensione facoltativa e dopo il periodo di interdizione post partum, purché tali periodi siano fruiti senza soluzione di continuità rispetto al congedo obbligatorio (Circolare n. 102/2022).
Con il Messaggio n. 4042/2022, l’Istituto fornisce ulteriori chiarimenti riguardo alla decorrenza del beneficio, all’imponibile oggetto di sgravio, alla compatibilità con altre agevolazioni e alla portabilità dell’esonero.

Decorrenza dell’esonero

L’esonero è applicabile a partire dalla data del rientro effettivo al lavoro della lavoratrice, purché lo stesso avvenga tra il 1° gennaio 2022 e il 31 dicembre 2022.
Le eventuali cause che posticipino il rientro effettivo al lavoro (quali, a titolo esemplificativo, ferie, malattia, permessi retribuiti), purché collocate senza soluzione di continuità rispetto al congedo obbligatorio, determinano lo slittamento in avanti della decorrenza dell’esonero, a condizione che il rientro si verifichi entro il 31 dicembre 2022.
Viceversa, laddove vi sia stato il rientro effettivo della lavoratrice al termine del periodo di astensione per maternità (anche eventualmente seguito, senza soluzione di continuità, da un periodo di congedo parentale), le eventuali successive ipotesi di fruizione (totale o parziale) dei congedi parentali sono irrilevanti ai fini del decorso dell’anno in cui si ha diritto all’applicazione dell’esonero. Pertanto, qualora una lavoratrice sia effettivamente rientrata in servizio al termine del periodo di astensione obbligatoria e – successivamente al rientro – si sia avvalsa del congedo facoltativo, la stessa ha diritto all’applicazione dell’esonero in oggetto a partire dalla data del primo rientro effettivo nel posto di lavoro.

Imponibile oggetto di sgravio

L’esonero contributivo si calcola a decorrere dalla data di rientro effettivo.
L’imponibile riferito ai giorni antecedenti il rientro non dovrà essere considerato, viceversa, dal giorno del rientro l’imponibile dovrà essere integralmente considerato.
Ai fini della determinazione dell’imponibile oggetto di sgravio, in relazione all’ultimo mese di fruizione dello stesso, nelle ipotesi di rientro in servizio inframensile, si dovrà considerare il solo periodo fino alla data in cui termina la fruizione dell’esonero.
Pertanto i giorni di ferie o di permessi retribuiti ad altro titolo o di malattia eventualmente fruiti, senza soluzione di continuità rispetto all’astensione per maternità, prima dell’effettivo rientro, non sono oggetto di esonero e il relativo imponibile, pertanto, non determina il diritto all’agevolazione.
Ulteriormente, nelle ipotesi di rientri inframensili, l’esonero, nell’ultimo mese di spettanza, deve essere calcolato fino alla data di scadenza dell’anno di agevolazione previsto dalla legge.
La determinazione della quota di imponibile oggetto di sgravio, nelle ipotesi di rientro nel posto di lavoro inframensile, dovrà essere effettuata in relazione agli eventi intercorsi nel mese di rientro.
Ad ogni modo, l’imponibile da considerare ai fini dell’applicazione dello sgravio in trattazione, con riferimento al primo mese di fruizione dello stesso e nelle ipotesi di rientro in servizio inframensile, è quello dalla data del rientro.

Compatibilità con altre agevolazioni

L’esonero è cumulabile:
– con gli esoneri contributivi previsti a legislazione vigente relativi alla contribuzione dovuta dal datore di lavoro;
– con l’esonero sulla quota dei contributi previdenziali per IVS a carico del lavoratore, previsto per l’anno 2022 (0,8 + 1,2 per cento). La cumulabilità opera sull’intero ammontare della contribuzione a carico del dipendente. Ciò significa che laddove sia già stata applicata la riduzione del 50 per cento della quota a carico della lavoratrice madre, l’esonero IVS può trovare applicazione sull’intera contribuzione dalla stessa dovuta. Analogamente, laddove sia già stato applicato l’esonero IVS, la riduzione del 50 per cento della quota a carico della lavoratrice madre può trovare applicazione sull’intera contribuzione dalla stessa dovuta.

Portabilità dell’esonero

Laddove la lavoratrice sia rientrata nel posto di lavoro a seguito dell’astensione per maternità, in caso di successivo cambio di datore di lavoro, occorre distinguere tra le seguenti due ipotesi:
(1) nel caso in cui ci sia soluzione di continuità tra il precedente rapporto incentivato e il nuovo (ad esempio, dimissioni e nuova assunzione; scadenza di un contratto a termine e nuova assunzione), l’esonero non può essere riconosciuto;
(2) nel caso in cui non ci sia soluzione di continuità (ad esempio, trasferimento di azienda; cessione di contratto), l’esonero continua a trovare applicazione, trattandosi della prosecuzione del medesimo rapporto di lavoro.


Nell’ipotesi in cui la lavoratrice, invece, non sia rientrata nel posto di lavoro relativo al rapporto contrattuale in costanza del quale si è verificata l’astensione per maternità, l’esonero può essere riconosciuto presso il datore di lavoro che successivamente assume la lavoratrice – poiché, rispetto a esso, si verifica il primo rientro effettivo dall’astensione.


Enti religiosi: fusione riorganizzativa per incorporazione


L’Agenzia delle Entrate con la risposta 08 novembre 2022 n. 555 è intervenuta sul trattamento fiscale riservato nell’ipotesi della “fusione per incorporazione” di due enti ecclesiastici ai fini delle imposte sul reddito, dell’IVA e dell’imposta di registro.

Con particolare riguardo all’operazione di fusione che coinvolge enti ecclesiastici, nella risoluzione 15 aprile 2008, n. 152/E è stato chiarito che ai fini una valutazione degli effetti fiscali occorre distinguere se i beni che “passano” da un ente all’altro siano o meno relativi ad un’attività d’impresa.


In altre parole, una tale operazione di fusione non è da considerare “realizzativa” e può, quindi, beneficiare della neutralità fiscale di cui all’art. 172, co. 1, del TUIR, limitatamente ai beni gestiti dall’ente incorporato in regime di impresa che, dopo la fusione, confluiscono nell’attività d’impresa dell’ente incorporante.


Qualora, invece, detti beni non confluiscano in un’attività d’impresa dell’ente incorporante, gli stessi si considerano realizzati a valore normale, in analogia a quanto disposto dall’art. 171, co. 1 del TUIR in materia di trasformazione eterogenea, generando plusvalenze imponibili a causa della loro destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa.


La risoluzione n. 152/E del 2008 ha chiarito, altresì, che anche per i beni relativi all’attività istituzionale dell’ente incorporato occorre distinguere a seconda dell’attività in cui gli stessi confluiscono in conseguenza dell’operazione di fusione.


In relazione ai beni non relativi ad impresa che confluiscono nell’impresa, trova applicazione in via analogica l’articolo 171, co. 2 del TUIR che, in caso di trasformazione da ente non commerciale in società commerciale, rinvia alla disciplina del conferimento per i beni non ricompresi nell’azienda o nel complesso aziendale dell’ente stesso.


La medesima risoluzione precisa, infine, nella diversa ipotesi di beni non relativi all’impresa che confluiscono nell’attività istituzionale dell’incorporante, l’operazione sarà fuori dal regime d’impresa.


Nel caso di specie, l’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, rappresenta che procederà ad incorporare due enti ecclesiastici civilmente riconosciuti appartenenti alla medesima struttura religiosa (“Congregazione”) e che detta fusione verrà realizzata mantenendo in capo all’ente incorporante la destinazione originaria dei beni all’attività istituzionale o commerciale, come già rinvenibile in capo agli enti incorporati, in sostanza “aggregando” rispettivamente, le attività istituzionali con i relativi patrimoni e le attività commerciali con i relativi patrimoni.


Alla luce di quanto esposto, relativamente ai beni in regime di impresa che confluiranno nel novero dei beni dell’ente incorporante in regime d’impresa, la fusione potrà avvenire in neutralità fiscale, ai sensi degli artt. 172 e 174 del TUIR.


Permessi 104: nuova funzionalità “Rinuncia ai benefici”


Con messaggio 4040/2022, l’Inps rende noto che è stata realizzata una nuova funzionalità denominata “Rinuncia ai benefici” per consentire agli utenti di comunicare all’Istituto, attraverso il suddetto sportello telematico, la volontà di rinunciare, in tutto o in parte, al periodo richiesto nella domanda originaria dei permessi 104.

Nel dettaglio, la nuova funzionalità denominata “Rinuncia ai benefici” è raggiungibile sul portale Inps, accedendo al servizio “Prestazioni a sostegno del reddito – Domande”, selezionando tra i servizi “Disabilità” > “Permessi Legge 104/1992”, la voce di menu “Comunicazione di variazione”.
Tale funzione consente al lavoratore di rinunciare, in tutto o in parte, al periodo richiesto nella domanda originaria.
La rinuncia può riguardare le seguenti categorie di domande:
– giorni di permesso mensile (art. 33, co. 3, L. n. 104/1992) per assistere un familiare disabile;
– giorni di permesso mensile e ore di permessi giornalieri ad essi alternativi (art. 33, co. 6, L. n. 104/1992) richiesti dal lavoratore per sé  stesso;
– prolungamento del congedo parentale (art. 33, D.Lgs. n. 151/2001) e riposi orari a essi alternativi (art. 33, co. 2, L. n. 104/1992 e art. 42, co. 1, D.Lgs n. 151/2001).
La comunicazione di variazione può essere effettuata solo con riferimento alle domande in corso di fruizione nel mese di presentazione della rinuncia. Ciò vuol dire che il periodo richiesto nella domanda originaria deve ricoprire, in tutto o in parte, il mese in cui si presenta la comunicazione di variazione. La data di rinuncia ai benefici, pertanto, deve ricadere nel mese di presentazione della comunicazione della variazione stessa.
Se all’atto della comunicazione il periodo richiesto nella domanda da variare è interamente trascorso oppure non è ancora iniziato, non è possibile comunicare la rinuncia ai benefici tramite la nuova funzionalità.


Dopo aver selezionato la tipologia di comunicazione di variazione “Rinuncia ai benefici”, viene proposto l’elenco delle sole domande per le quali è possibile effettuare la comunicazione di rinuncia.
Individuata la domanda per la quale si vuole effettuare la rinuncia, è necessario indicare le seguenti informazioni:
– la data di rinuncia ai benefici;
– la dichiarazione di avere fruito o meno, per il mese in corso, dei benefici richiesti nella domanda originaria.
Al termine dell’inserimento delle informazioni richieste, la procedura mostra la pagina “Riepilogo dati” contenente i dati significativi della comunicazione di variazione.
All’atto della conferma, la comunicazione viene protocollata e sarà possibile consultarne il riepilogo e la ricevuta.
Le comunicazioni di variazione possono essere consultate accedendo alla voce di menu “Consultazione domande” e annullate accedendo alla voce di menu “Annullamento domande”.
Le comunicazioni di variazione possono essere annullate entro due giorni dalla data di presentazione.