ISPEZIONI, ABUSIVI SEGNALATI DALL’INPS

I soggetti privi di abilitazione professionale non possono assistere all’ispezione e saranno segnalati alle autorità competenti.

L’Inps, in attesa della piena operatività dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, emana le linee guida per i propri ispettori. Con la circolare n. 76/16, l’Istituto precisa che l’accertamento ispettivo non può tradursi in una verifica di carattere puramente contabile – amministrativo. Ne consegue che all’ispettore è demandata la valutazione di tutte le circostanze del caso concreto e delle specifiche modalità di svolgimento e di esecuzione del singolo rapporto di lavoro verificato. Inoltre, le ispezioni vanno condotte in coppia dall’inizio alla stesura del verbale. Il primo accesso, dopo opportuna valutazione, potrà essere affidato anche a più di 2 ispettori e riveste particolare importanza in relazione soprattutto all’effetto sorpresa, tipico del procedimento ispettivo.

Gli ispettori possono accedere ai locali delle aziende, agli stabilimenti, ai laboratori, ai cantieri e a qualsiasi altro luogo di lavoro come negozi, esercizi pubblici, studi professionali e ai locali nei quali si svolge un’attività lavorativa assoggettabile alle norme di legge sull’assicurazione.

All’atto dell’accesso, il personale ispettivo ha l’obbligo di qualificarsi, oltre che nei confronti del datore di lavoro o di chi ne fa le veci, anche nei confronti del personale presente sul luogo di lavoro e di ogni altro soggetto.

Il personale ispettivo è tenuto a conferire, laddove possibile, con il datore di lavoro e/o suo rappresentante, informandolo della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato ai sensi dell’art. 1 della Legge n. 12/79, nonché di rilasciare dichiarazioni.

Gli ispettori devono verificare che il professionista esterno sia in possesso di abilitazione di cui alla Legge n. 12/79, annotando nel verbale di primo accesso gli estremi della prevista iscrizione. Per i professionisti diversi dai Consulenti del lavoro, il personale ispettivo è tenuto a verificare, in particolare, che sia stata effettuata la comunicazione dell’esercizio dell’attività svolta alla competente Direzione Territoriale del Lavoro.

Nel caso in cui emergano gli estremi dell’esercizio abusivo della professione, i funzionari ispettivi non devono consentire al soggetto privo di abilitazione di assistere all’ispezione in corso e devono provvedere, appena possibile, a darne comunicazione alle autorità competenti.

 

Licenziamento dopo l’aspettativa

Licenziamento legittimo dopo il periodo di comporto, anche se è seguita l’aspettativa richiesta dal lavoratore. Un dipendente, dopo la scadenza dei termini di comporto (periodo massimo di conservazione del posto dopo la malattia), aveva richiesto un periodo di aspettativa non retribuita. Il datore di lavoro l’aveva concessa, nonostante la richiesta fosse pervenuta oltre i limiti di tempo previsti dal Ccnl di categoria applicato. Al termine del periodo di aspettativa, il dipendente, nonostante l’invito del datore, non ha ripreso servizio ed è stato licenziato per superamento del periodo di comporto. Dopo l’impugnazione del licenziamento ed i vari gradi di giudizio, la Corte di Cassazione con la sentenza n.6697/16, ha stabilito che la concessione del periodo di aspettativa, anche se richiesto e concesso dopo l’esaurimento del periodo di comporto, non implica una tacita rinuncia da parte del datore di lavoro al recesso, ma solo un trattamento di miglior favore accordato e non può nemmeno comportare l’affidamento del dipendente circa la prosecuzione del rapporto di lavoro.

La Cassazione, richiamando il principio contenuto nella sentenza n.12233/13 ha, infatti, evidenziato che nel caso di concessione di un periodo di aspettativa, i limiti temporali per poter procedere al licenziamento per superamento del comporto, vanno dilatati sino a ricomprendere la durata dell’aspettativa.

 

Nel caso specifico, essendo intervenuto il licenziamento pochi giorni dopo la cessazione del periodo di aspettativa, il recesso è stato ritenuto pienamente legittimo, in quanto aderente ai principi sopra richiamati. La valutazione sull’inerzia del datore di lavoro, infatti, poteva essere effettuata solo dal momento dell’effettivo rientro in servizio del dipendente a seguito del periodo di aspettativa.

Una precedente posizione della Corte di Cassazione (sentenza n.20722/15) affermava come il superamento del periodo di comporto vada valutato nell’immediata scadenza e non dopo la riammissione in servizio.

Nel caso specifico il lavoratore, al termine del periodo di malattia che aveva determinato il superamento del periodo di comporto, era stato riammesso in servizio, posto in ferie e dopo alcuni mesi licenziato. Nemmeno i successivi eventi avvenuti nel periodo di riammissione quali le ferie, una nuova malattia e la concessione di un ulteriore periodo di riposo, per la Corte, possono spiegare alcuna rilevanza sul licenziamento, trattandosi di fatti non connessi a quelli che hanno determinato il superamento del periodo di comporto.

OPERAIO DISTRATTO E INFORTUNIO, DATORE NON E’ RESPONSABILE

Vale il principio di auto responsabilità in ipotesi d’infortunio sul lavoro accorso al lavoratore, quando il datore di lavoro abbia fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione e abbia messo in atto tutti gli obblighi relativi alla sicurezza sul posto di lavoro. Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n.8883/16 in cui viene considerata maggiormente la responsabilità dei lavoratori, attuando il cosiddetto principio di auto responsabilità degli stessi ed escludendo la responsabilità del datore di lavoro che non deve rispondere dell’evento derivante da una condotta imprevedibile e colposa messa in atto da parte del lavoratore.

L’amministratore di una società e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (Rspp) della società stessa, avevano presentato ricorso contro la sentenza d’appello che li aveva riconosciuti colpevoli del reato di lesioni a carico di un lavoratore caduto dal tetto di un capannone. Dai fatti è risultato che la sera prima dell’incidente, il lavoratore, elettricista manutentore, dipendente della società da 5 anni, si era recato per un sopralluogo, su incarico della propria azienda ed accompagnato dall’amministratore della società, presso un capannone del committente dove avrebbe dovuto montare dei faretti sulle pareti esterne. In tale circostanza il lavoratore e il Responsabile della prevenzione della ditta committente avevano utilizzato un elevatore con braccio meccanico. A conclusione del sopralluogo il Responsabile della prevenzione della società, informato telefonicamente del lavoro da eseguire, lo aveva istruito su tutte le attrezzature di lavoro e di sicurezza da prendere, con la certezza che l’operaio avrebbe operato dall’elevatore messo a disposizione dal committente. Il lavoratore, invece, pur servendosi dell’elevatore, si era portato sul cordolo esterno del capannone, frantumatosi per l’esilità delle lastre di eternit causando l’infortunio. E’ stato accertato che il lavoratore aveva operato, quindi, in maniera irresponsabile e diversa dalle indicazioni aziendali.

Gli imputati avevano organizzato il lavoro da effettuare senza che fosse prevista la necessità di salire sul tetto da parte del lavoratore, verificando che la ditta cliente mettesse a disposizione l’elevatore, ritenuto più che sufficiente per svolgere l’attività in sicurezza.

DIMISSIONI ON LINE: INDAGINE DI FONDAZIONE STUDI EVIDENZIA CRITICITA’

Dopo il primo mese di applicazione della nuova procedura telematica per le dimissioni e le risoluzioni consensuali dei rapporti di lavoro, sono ancora tante le criticità irrisolte. Guardando i risultati dell’indagine sottoposta da Fondazione Studi ad un campione di 4 mila Consulenti del Lavoro, i maggiori ostacoli riguardano i tempi lunghi per ottenere il Pin dall’Inps, gli errori effettuati nell’inserire l’e-mail o la Pec del datore di lavoro, le incertezze sulla data di decorrenza delle dimissioni da indicare nel modulo, il trovare assistenza per poter eseguire la procedura e la poca dimestichezza con il pc, soprattutto tra gli over 55. Per il 92% degli intervistati la nuova procedura complica il processo di dimissioni dal rapporto di lavoro e non assicura l’autenticità del lavoratore che intende manifestare la volontà di dimettersi.

Inoltre, allo stato attuale emerge l’inesistenza di alcun riscontro oggettivo ufficiale che possa determinare la dimensione del fenomeno delle dimissioni in bianco. Mentre è certo che il numero delle dimissioni che avvengono ogni anno si attesta a circa 1,4 milioni. Secondo i Consulenti del Lavoro, solo una piccola parte, il 16%, è venuto a conoscenza di lettere di dimissioni in bianco. A dimostrazione che probabilmente la “cura” individuata rischia di essere peggiore del male che si intende combattere. “Era meglio la situazione precedente”, commenta Rosario De Luca, Presidente di Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro. “La convalida in calce alla comunicazione trasmessa per via telematica è un sistema snello, che andrebbe ripristinato, – commenta De Luca – insieme alla norma per chi abbandona il posto, evitando cosi che le aziende debbano licenziare i lavoratori e pagare anche il ticket all’Inps”.

Infatti tra le precisazioni pervenute in questi giorni dal Ministero del lavoro ai Consulenti del lavoro, in risposta alle 20 domande formulate dagli stessi a metà marzo, viene evidenziato proprio questo caso. Nelle risposte si sottolinea come, in ipotesi frequenti di dimissioni del lavoratore che non porta a termine la procedura telematica e non si presenta più al lavoro, al datore non resta altro che contestare l’assenza ingiustificata e licenziare il lavoratore pagando anche il ticket per l’erogazione della Naspi (fino a 1.470,30). Importante anche un’altra risposta che riguarda le dimissioni della lavoratrice nell’anno del matrimonio: andranno presentate on line e poi convalidate presso la Dtl.